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La Corte di Cassazione giudica legittimo il licenziamento disciplinare per uso di Facebook.

studiopollastro

La Corte di Cassazione, con sentenza 1 febbraio 2019, n. 3133, conferma la decisione della Corte di Appello di Brescia, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare di una dipendente a tempo parziale, per il numero elevato di accessi a siti internet estranei all’ambito lavorativo, tra i quali si contavano, nel corso di 18 mesi, circa 4.500 accessi a Facebook.


La Suprema Corte ha ritenuto che la gravità del comportamento della lavoratrice, costituisca azione contraria all’etica comune, idonea quindi a incrinare il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore.

La sentenza conferma la precedente decisione della Corte di Appello di Brescia che già aveva affermato che tali condotte integrino violazioni ai doveri di diligenza e buona fede.

La Corte di Cassazione ha respinto le tesi difensive che, quantomeno sul piano del merito, si basavano essenzialmente su due argomentazioni, da un lato l’inidoneità del report degli accessi come elemento probatorio, in quanto non certamente riferibile alla lavoratrice, e dall’altro l’inutilizzabilità del medesimo in base alle disposizioni sulla tutela della privacy.

In riferimento ai documenti contenenti la cronologia internet, la Corte di Cassazione ha valorizzato l’idoneità probatoria degli stessi, ritenendo che il giudice di merito avesse già correttamente deciso, con ampia motivazione, sia in merito della mancata contestazione della ricorrente, sia alla sicura sicura riferibilità alla medesima, in quanto gli accessi alla pagina Facebook richiedano una password identificativa.

Sullo specifico aspetto della regola della privacy la sentenza poco dice, rimanendo su un piano processuale della questione.


Le problematiche sottese al controllo dei lavoratorisul posto di lavoro di cui all’articolo 4 St. Lav., da poco riformato, pur se non direttamente affrontate dalla sentenza, tuttavia costituiscono materia assai delicata che merita attenti approfondimenti

Infatti, attraverso la modifica dell’articolo 4 St. Lav., avvenuta con il Jobs Act (Decreto Legislativo n. 151/2015), è stato eliminato l’esplicito divieto di controllo a distanza della attività del dipendente, fino a quel momento ritenuto come divieto assoluto, e sono state individuate le condizioni e le finalità per le quali è permessa l’utilizzazione degli apparecchi di controllo.

In primo luogo è stato specificato che gli strumenti dai quali derivi un controllo (es. videosorveglianza, sistemi di geo localizzazione, computer ecc), possono essere utilizzati dall’imprenditore solo per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, ammettendo pertanto il solo controllo “incidentale” e non potendo tale condotta assumere connotati di monitoraggio prolungato e costante ai fini del controllo della produttività individuale.

In secondo luogo, è stato previsto l’obbligo di un accordo sindacale preventivo sulle modalità di utilizzo di tali apparecchiature o, in alternativa, il datore di lavoro per l’istallazione di tali apparecchiature deve ottenere la previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

In terzo luogo, al secondo comma dell’articolo in questione, viene precisato che dette procedure di preventiva approvazione non si applicano in riferimento degli eventuali altri strumenti di cui i lavoratori vengono dotati per lo svolgimento della attività lavorativa (computer, telefoni, oppure strumenti di rilevazione di accessi, si pensi ai badge).

Infine, al terzo ed ultimo comma, il legislatore precisa che il datore di lavoro può utilizzare le informazioni raccolte a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro e purché i lavoratori siano stati informati adeguatamente sulle modalità di utilizzo.

Tanto premesso quindi, già dalla lettura dell’articolo 4, potrebbe emergere la possibilità per il datore di lavoro, attraverso le informazioni raccolte tramite strumenti di controllo a distanza, non solo di monitorare l’organizzazione del lavoro, ma altresì di effettuare controlli sulla produttività, effettuare contestazioni e irrogare sanzioni disciplinari di ogni grado.

 
 
 

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