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La Corte di Giustizia Europea condanna l'Italia per le norme sui contratti a termine.

Aggiornamento: 20 gen 2019

La Corte di Giustizia, dopo aver precisato che il regime naturale dei rapporti di lavoro è quello a tempo indeterminato, dichiara la illegittimità di tutte quelle normative nazionali che non prevedano la conversione a tempo indeterminato dopo un certo periodo di lavoro a termine, ovvero la previsione di una adeguata tutela risarcitoria, quali condizioni per evitare abusi.


Significativa sentenza della Corte di Giustizia Europea di contratti a termine, Corte Europea, decima Sezione, 25 ottobre 2018, Sciotto Vs Italia– Causa n. 331/2017.


La vicenda sottoposta all’esame della Corte Europea, era stata attivata da una dipendente di un ente lirico, avanti al Tribunale Sez. Lavoro di Roma, che nel periodo tra il 2007 e il 2011 aveva lavorato sempre sulla base di plurimi contratti a termine. Sottolineando di aver svolto le stesse funzioni di quelle attribuite al personale assunto a tempo indeterminato, la lavoratrice aveva ritenuto di poter essere inserita stabilmente nell’organico della Fondazione a tempo indeterminato ed al rifiuto di quest’ultima si era opposta, facendo ricorso avanti al giudice del lavoro.

Nella decisione di primo grado, la ricorrente faceva valere che nei suoi contratti di lavoro non erano indicate esigenze tecniche, organizzative o produttive specifiche che avrebbero giustificato la loro conclusione a tempo determinato, il Giudice, tuttavia con sentenza del 22 novembre 2013 aveva respinto il ricorso sostenendo che la disciplina nazionale specifica applicabile alle Fondazioni musicali escludeva l’applicazione delle norme che disciplinano i contratti di lavoro di diritto comune.

La ricorrente impugnava la decisione avanti alla Corte d’Appello di Roma, richiamando i principi della sentenza della Corte EU (26 febbraio 2015), rilevando il possibile contrasto della normativa italiana con le disposizioni della direttiva europea.

La Corte d’appello di Roma dopo aver sottolineato che il Decreto Legislativo 368/2001, che regolava all'epoca i contratti a termine, non si applicava alle fondazioni lirico sinfoniche, riteneva di investire la Corte Europea per chiarire il contrasto tra le diverse disposizioni.

La Corte sovranazionale, nella recente decisione del 25 ottobre 2018 ha osservato che la normativa italiana relativa alle Fondazioni Musicali, risulta in contrasto con l’ordinamento comunitario in quanto, in presenza di abusi determinati da continui utilizzi di contratti di lavoro a tempo determinato nei confronti della medesima persona, non prevede sanzioni né tramite la conversione automatica a contratto a tempo indeterminato, né tramite la previsione di una adeguata tutela risarcitoria.

La Corte ha sottolineato che, al fine di prevenire gli abusi, le normative nazionali devono adottare almeno una delle tre misure che sono espressamente previste dalla clausola 5 dell’Accordo quadro della Direttiva Europea, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi».

Tale norma, al suo punto 1, dispone quanto segue: «Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

. a)  ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

. b)  la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

. c)  il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti».

Atteso che, ai sensi della disciplina italiana in materia, i lavoratori del settore delle Fondazioni lirico-sinfoniche non hanno diritto, persino in caso di abuso, alla conversione dei loro contratti di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e non beneficiano di altre forme di tutela, come la fissazione di un limite alla possibilità di ricorrere ai contratti a tempo determinato, ne deriva, che l’ordinamento giuridico italiano appare in contrasto con le obbligatorie disposizioni della Direttiva Europea.

Pure trattandosi di decisione che riguarda il solo settore delle Fondazioni Liriche, è sostenibile che le argomentazioni svolte dalla Corte di Giustizia possano essere estese anche ad altri settori di lavoratori comunque esclusi dalle disposizioni comuni in materia di contratti a termine, primo fra tutti il mondo della scuola, sia personale insegnante che personale ATA, nell'ambito del quale il precariato appare circostanza nota e con caratteri ormai strutturali.

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